La fondazione dei Figli della Carità era prevista già nel Piano iniziale presentato da Maddalena al vescovo di Verona, Mons. G. Andrea Avogadro. Quel Piano aveva anzi descritto prima di tutto la struttura e l’opera dell’Istituto maschile. Nello stesso modo doveva essere strutturato quello femminile, con i necessari adattamenti, evidentemente. Il progetto della fondazione maschile doveva servire da modello a quello femminile.
Per questo ebbe contatti a Bergamo con alcuni preti raccolti attorno al canonico Benaglio che nel vecchio seminario raccoglievano ed istruivano ragazzi e giovani. Ad essi fece giungere il Piano nella sua stesura definitiva. Contemporaneamente a Milano, nella parrocchia di S. Stefano, aveva favorito il nascere dell’Oratorio S. Ambrogio, dove sacerdoti e laici svolgevano attività a favore dei ragazzi e giovani.
Fu per molto tempo in contatto con don Antonio Rosmini, eminente pensatore e poi fondatore dell’Istituto della Carità, la cui sorella Margherita si era fatta Figlia della Carità. Alla fine collaborò anche con don Antonio Provolo, poi fondatore della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti. I disegni di Dio sui due uomini, tanto eminenti per santità di vita, erano diversi. Maddalena dovette prenderne atto. Un ultimo tentativo fu da lei fatto a Venezia, dove una casa dell’Istituto femminile era stata fondata fin dal 1812, con don Francesco Luzzo, professore di grammatica nel seminario partriarcale, collaboratore con i conti Cavanis nelle loro Scuole di Carità. Con lui ha inizio il 23 maggio 1831 l’Oratorio di S. Lucia e con esso l’Istituto maschile.
Lei stessa, pur prospettando alla Congregazione un “amore grande” e uno “spirito genenosissimo”, già profeticamente aveva detto che “nascer deve ai piedi della croce” e che “deve restare nell’umiltà e oscurità della croce”.
La storia di umiltà e di nascondimento dei Figli della Carità, rimasti per circa un secolo in pochi fratelli nell’Oratorio di Venezia, li confermerà educandoli allo spirito di Maddalena, facendo loro esperimentare la legge della croce:
“...se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo...” (Gv 12, 24).
I primi Canossiani
L’Istituto maschile ebbe inizio con il don Francesco Luzzo. Era un sacerdote esemplare e virtuoso, ma non aperto apostolicamente, non ricco di iniziative e di vedute. Non si sentiva portato a spendere la vita per i ragazzi e giovani. Maddalena riconosce che non ha la vera vocazione del Figlio della Carità. Di fatto subito dopo la morte della Fondatrice, abbandonò l’opera e si fece Carmelitano Scalzo a Treviso, dove morì nel 1861.
Giuseppe Carsana, nato a Carenno nel 1790, era di professione falegname. A Bergamo, oltre che alla professione, che non abbandonò mai e da cui attinse sempre quanto era necessario per vivere, si interessò sempre dei ragazzi degli Oratori. Era presente nell’esperienza di Milano nell’Oratorio S. Stefano. Maddalena lo aveva conosciuto ed apprezzato. Pensò a lui come al sostegno dell’opera iniziata a Venezia. Raggiunse Venezia nel 1833. È ritenuto come il vero confondatore della Congregazione maschile. Morì il 28 dicembre 1860 a S. Giobbe, dove l’Istituto si era trasferito in seguito alla demolizione del convento di S. Lucia e luoghi adiacenti per far posto all’erigenda stazione ferroviaria.
Il Carsana fu raggiunto a Venezia dopo qualche mese da un altro bergamasco, Benedetto Belloni, già suo compagno di lavoro e di apostolato, nonostante la notevole diversità di anni (21 anni).
Egli fu l’indispensabile sostegno del Carsana e poi suo successore alla guida dell’Oratorio. Morì il 2 gennaio 1876.
“...se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo...”
(Gv 12, 24).
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