SANTA GIUSEPPINA BAKHITA

 SORELLA UNIVERSALE

 Dall’Africa all’Italia

al mondo intero 

 

Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale (regione del Darfur). All'età di sette anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa "fortunata". Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco: le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti.

Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà: questo diplomatico già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie. Nel caso di Bakhita ciò non fu possibile per la distanza del villaggio di origine dalla capitale e per il vuoto di memoria della bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del console Bakhita visse serenamente per due anni lavorando con gli altri domestici senza essere più considerata una schiava.

Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire dalla capitale in seguito alla Guerra Mahdista, Bakhita lo implorò di non abbandonarla. Insieme ad un amico del signor Legnani, Augusto Michieli, raggiunsero prima il porto di Suakin sul Mar Rosso, dove appresero della caduta di Khartum, e dopo un mese si imbarcarono alla volta di Genova.

In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l'Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così un'istruzione religiosa.

Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. La signora Michieli fece intervenire il Procuratore del Re, venne coinvolto anche il cardinale patriarca di Venezia Domenico Agostini, i quali insieme fecero presente alla signora che in Italia non erano riconosciute le leggi di schiavitù: il 29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata legalmente libera.

Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l'8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi.

Nel 1902 fu trasferita in un convento dell'ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuciniera, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della Prima guerra mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l'incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli scledensi (cioè dagli abitanti di Schio) "Madre Moréta".

Bakhita divenne così famosa in tutta Italia e molte persone, comitive e scolaresche andavano a Schio per vederla. Dal 1933, assieme ad una suora missionaria di ritorno dalla Cina, suor Leopolda Benetti, iniziò a girare l'Italia per tenere conferenze di propaganda missionaria. Timida di natura e capace di parlare solo in lingua veneta, Bakhita si limitava a dire poche parole alla fine degli incontri, ma la sua presenza attirava l'interesse e la curiosità di migliaia di persone.

Dal 1939 cominciò ad avere seri problemi di salute e non si allontanò più da Schio. Morì l'8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia.

Il 1º dicembre 1978 papa Giovanni Paolo II firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita. Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1º ottobre 2000.

La memoria liturgica si celebra il giorno 8 febbraio.

 

“Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita ed anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciar loro le mani, perché se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”.

 

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